In questo articolo parlerò del kintsugi, un’antichissima tecnica di riparazione giapponese che ci fa comprendere in modo pratico che sono proprio gli ostacoli che abbiamo superato, i traumi che abbiamo subito e i dolori che abbiamo sperimentato a renderci unici, migliori e anche più affascinanti.
Sono le cicatrici a renderci belli. A fare di noi persone migliori.
"Accada quel che accada anche il sole del giorno peggiore tramonta. Proverbio Giapponese"
Facciamo un passo alla volta, con calma.
Uno degli effetti collaterali più orribili delle delusioni, dei traumi e del dolore, in particolare di quello emotivo e ancor di più di quello sentimentale, è che ti fanno perdere la speranza nella vita e nel futuro, ti fanno perdere la fiducia in te stessa e soprattutto ti fanno perdere la lucidità mentale, il senso della prospettiva e della realtà in cui sei immersa e delle possibilità e opportunità che hai a disposizione.
Tanta roba e pesante, eh?
E’ stato proprio quando mi trovavo nel bel mezzo di un – lungo – momento difficile della mia vita, di quelli in cui perdi il riferimento più importante, cioè proprio la tua lucidità e il controllo sulle tue emozioni, che ho letto per la prima volta del kintsugi. E ne sono rimasta molto colpita.
Si trattava di un po’ di tempo fa.
Ma non mi sono di certo dimenticata di quel che ho vissuto e di quel che ho provato in quel momento.
Diciamo che io avevo bisogno di rimettermi insieme, ma allora non avevo nemmeno la colla e non avrei saputo dove trovarla, figurati l’oro o l’argento o la lacca giapponese.
Il termine kinstugi (anche kintsukuroi) significa letteralmente “oro” (“kin”) e “riunire”, “riparare”, “ricongiunzione” (“tsugi”), cioè riparare, riunire, rimettere insieme con l’oro.
Certo, quando ti senti letteralmente “a pezzi”, quando nemmeno trovi i cocci di te stessa perché non solo l’intero si è rotto, ma i frammenti, alcuni piccolissimi, ma importanti, sembrano persi per sempre sul pavimento dell’esistenza a causa della caduta rovinosa e della frattura apparentemente irrimediabile, che te ne fai della metafora legata a un tecnica con la quale si può riparare qualsiasi oggetto, di valore o meno, che abbia subito rotture anche molto devastanti, impreziosendolo, rendendolo più bello e aumentando il suo valore?
Boh…
Però quel giorno sono rimasta tanto colpita che ho pensato che quello del kintsugi fosse un tema degno di essere approfondito, per molte buone ragioni.
E nello stesso tempo mi ripetevo che quello non era il momento e che comunque allora non poteva riguardarmi: tanto il kitsugi era affascinante, quanto io ero assolutamente incredula e sfiduciata che a me potesse accadere quel che accade a un vaso rotto dopo l’intervento di un artista del kintsugi.
Era enormemente interessante, sarebbe stato importante per me capirne il senso e allo stesso modo lo percepivo totalmente al di fuori della mia portata.
E con quel sentire di sottofondo (la sfiducia, l’impotenza, la percezione della mancanza totale di ogni residua possibilità) impalpabile ma ben presente, ho sempre rimandato di occuparmene: per lunghissimo tempo ho creduto che il kintsugi, cioè il suo significato metaforico, tanto importante per la mia esistenza e per quella di molte altre persone, fossero temi ancora troppo lontani da me, cioè che io fossi ben lontano dal risultato finale che una “buona operazione” di kintsugi regala a un oggetto o a un’esistenza (per restare nella metafora).
Non solo: in quel brutto periodo avevo pensato che fosse un’idea bellissima, ma illusoria e impraticabile. Una delle tante “balle di fuffa filosofica/esistenziale” che ci vengono propinate in egual misura da Oriente e da Occidente.
Kintsugi: che cos’è?
Poi, dopo che molte cose sono successe, dopo che questo blog è nato e cresciuto, spesso ho ripensato al kintsugi come a un riferimento utile per il lavoro con le mie clienti e per i miei percorsi, per il blog.
E, si sa, non sempre poi pensieri e progetti prendono forma, perché sono tanti e si sovrappongono uno sull’altro :) .
Finché, qualche giorno fa, a commento dell’articolo Ti comporti anche tu come una reduce?, una lettrice, Lu, ha parlato dell’arte del kintsugi e altre lettrici hanno condiviso la meraviglia e l’apprezzamento per il significato filosofico ed esistenziale di questa antica tecnica di riparazione giapponese.
E mi sono detta: “Oh, perbacco, ma com’è che non ho ancora parlato del kintsugi?”
Ti riporto paro paro il commento di Lu, che spiega bene cos’è il kintsugi e che significato ha per chi si sente tanto ferito dalla vita: “Ho letto di un’antica pratica giapponese, il kintsugi; quando un oggetto di ceramica si rompe, i giapponesi non lo buttano via, lo riparano, incollano i pezzi e riempiono le crepe con dell’oro. Impreziosiscono le ferite perché rendono l’oggetto più bello, unico. Una trama di preziosissime ferite. Un’opportunità nella sventura. Non possiamo sempre programmare quello che ci capita (e spesso è una fortuna), però possiamo imparare ad utilizzare in maniera sapiente quello che resta.”
"La vita è questa nulla è facile e niente è impossibile. G.Donadei"
Insomma, detto meno poeticamente, il kintsugi è l’arte di rimettere insieme i cocci, di ricostruire qualcosa non com’era esattamente (e come si fa?), ma di certo mantenendo la forma originaria e lasciando ben evidenti rotture e ferite che diventano a questo punto decorazioni e punti di forza dell’oggetto “riparato”.
Oggetto che a quel punto diventa autenticamente “unico”, dato che niente si rompe o può essere rotto in un modo uguale a qualcos’altro e niente quindi si ricostruisce allo stesso modo di qualcos’altro anche perché le vie per le quali ci si perde e poi ci si ritrova sono diverse per ciascuno.
In più quell’oggetto rotto e poi ricomposto diventa anche molto più prezioso, perché invece della colla, per metterne insieme i pezzi si usano oro o argento fuso o lacca mista a polvere d’oro.
Mica male il kintsugi, eh? Aggiungiamo che i punti di congiunzione, quelli in cui c’è stata la rottura, essendo stati riparati con materiali tanto preziosi e con grande meticolosità diventano anche i più forti perché la miscela usata per crearli è molto più resistente.
Stai pensando anche tu a qualche analogia con la vita delle persone?
"Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati. E. Hemimgway"
Se ci rifletti la teoria del kintsugi è piuttosto rivoluzionaria per il nostro modo di pensare, soprattutto nei tempi attuali: quello che è appena appena sbeccato si butta, non parliamo di quello che si rompe in mille pezzi.
E in realtà io sono convinta che qualcosa stia cambiando da questo punto di vista e so che molte appassionate di tecniche del riuso sanno a che cosa mi riferisco, vero?
Come ricostruirsi diventando migliori e più sicure
In questo momento probabilmente starai pensando qualcosa del genere: “Ma Ilaria ma che cosa stai dicendo?! Cosa interessa a me del kintsugi? Non sono mica una teiera, io! E poi oro e argento, e chi ce li ha? Io non riesco nemmeno ad alzarmi al mattino. Mi stai prendendo in giro per caso?”
Certo che non ti sto prendendo in giro. Sto illustrandoti una prospettiva attraverso la quale puoi diventare il meglio del meglio di te stessa proprio dopo aver sperimentato le peggio cose ed essere al punto di sentirti uno straccetto, un vaso caduto a terra e ridotto in mille pezzi.
"Il perdono più difficile è quello che un uomo deve riuscire a trovare per se stesso. G.Faletti"
Come fai?
Ti propongo 6 passi che ti possono essere utili per essere un’artista dell’auto-kintsugi.
1) Dài il giusto peso al tuo dolore. Non sopravvalutarlo e non sottovalutarlo. Concediti un periodo per soffrire come non ci fosse un domani e come se la sofferenza fosse il tuo unico scopo di vita. (Peraltro ci sono molte persone che in questo sono bravissime.) Soffri, piangi, arrabbiati, autocommiserati. Poi, a un certo punto decidi che la te addolorata ti è venuta a noia e che hai pianto a sufficienza, anche per le prossime 5 vite.
Hai dato.
Ora decidi di rimetterti in sesto, anche se sulle prime sembra che tu non ne abbia voglia.
2) Immagina, ricorda, visualizza qual era la tua forma originaria prima che traumi e delusioni cocenti ti colpissero: quali erano i tuoi desideri di bambina prima che le svalutazioni di tuo padre – umilianti e invincibili – ti convincessero a puntare più basso o in un’altra direzione che alla fine si è rivelata disastrosa per te? Com’eri e cosa volevi prima che quell’orribile storia sbagliata e quell’uomo abusivo ti togliessero ogni energia e tutta la vitalità che ti ha sempre caratterizzato? Quali erano le tue ambizioni e le tue competenze prima che quello sfigatissimo capo incapace, inadeguato e raccomandato ti annullasse con un mobbing senza tregua?
Torna al “prima” del momento in cui ti hanno messa o ti sei messa nei guai.
Pensa bene a come eri, a che cosa volevi e a che cosa sentivi.
3) Crea una connessione tra quella che sei adesso e quella che eri prima.
Ok, sì, anche se sei a pezzi. Che tu ci creda o no i traumi e le sofferenze ti hanno cambiata, ma di certo non solo in peggio. La caduta e la frattura, i mille persi sparsi, ti stanno dando una visione sulla vita che, se fossi rimasta intatta, non avresti avuto. E poi nessuno che entra nella vita rimane intatto, di sicuro. Comprendi bene che cosa il dolore ti ha aggiunto (magari anche di “parzialmente” negativo: la comprensione della tua fragilità, la rabbia, l’aver imparato che non ci si deve fidare).
4) Unisci il “prima” e il “dopo” decidendo che cosa vuoi per te.
Ti faccio un esempio personale.
Un giorno, successivo a quel brutto periodo, diciamo dopo che avevo esaurito la fase 1, mentre stavo facendo cose in casa di davvero nessuna importanza ho pensato proprio: “Devo riunire i fili che si sono spezzati, come un elettricista che fa una riparazione. Riunirò i fili di me e della mia vita adesso, dopo quello che mi è accaduto con quelli di me allora, prima che tutto succedesse. Senza pensare che sia troppo tardi, di aver perso treni od occasioni. E devo partire dal piccolo, dal facile, sennò non mi metterò nelle condizione di riuscire e di stare bene.”
Mi sono fermata, ho pensato per qualche minuto: “Che cosa mi interessava allora, prima della caduta rovinosa? A che cosa tenevo davvero?” (E in un retro-pensiero mi dicevo: “Che sia piacevole e non impossibile, se no ti avvilisci e diventa tutto ancora peggio”).
Dopo pochi minuti l’illuminazione: l’inglese. Mi interessava l’inglese. Non mi piaceva, confesso, ma mi interessava saperlo. E invece, come altre molte cose importanti per me (anche molto più importanti), l’avevo abbandonato.
Mi sono organizzata da subito per riprendere in mano il mio inglese, con metodo e nel modo migliore (sui risultati al riguardo non garantisco, veh, ma questa non solo è tutta un’altra storia, ma c’entra poco).
Ho ripreso da dove avevo lasciato.
5) Usa i collanti preziosi giusti per te. Usa argento, oro e lacca mista a polvere d’oro.
Di che si tratta, fuor di metafora? Rimettere insieme i pezzi di una tazza che si è rotta richiede pazienza, attenzione, dedizione e tempo. Non aspettarti risultati immediati. Il fatto certo è che, una volta rimessa insieme la tua forma originaria (vedi punto 2) con collanti preziosi il risultato sarà una te che ti stupirà ogni giorno per la sua maestosità.
Ecco perché devi usare collanti preziosi.
Quali sono?
Il primo è decidere che non puoi accettare nulla che non sia il massimo e il meglio per te. Punta al massimo.
Il secondo (da mischiare con il primo per fare la colla) è che devi fare solo quello che ti fa stare bene. Emotivamente, fisicamente e anche dal punto di vista pratico (economico per esempio o in termini di ambienti e di persone che frequenti).
Il terzo è il dosare abilmente pazienza e compassione, comprensione umana per te e magari per gli altri: quei pezzi, quelle fratture devi conoscerle bene, non tanto analizzandole (l’analisi non funziona!) quanto conoscendole con la mente e con il cuore. Non puoi non saper distinguere il fondo della tazza dal manico, dài!
Credi che si può fare anche se non ci credi. Oppure fallo e basta anche se non ci credi.
Mi piacerebbe davvero che i commenti a questo articolo parlassero di storie personali e di esperienze vissute. Soprattutto mi piacerebbe leggere di che cosa hai scoperto nei cocci di te stessa, quali collanti stai usando e userai e che cosa le “linee di frattura” riempite d’oro hanno messo in luce di te, che prima non conoscevi.
Elena 8 anni fa (1 Gennaio 2017 13:19)
Marina 8 anni fa (1 Gennaio 2017 13:19)
Marina 8 anni fa (1 Gennaio 2017 13:21)
Mauro 8 anni fa (1 Gennaio 2017 13:42)
Grazie Ilaria! Mi stai aiutando tanto!Erika 8 anni fa (1 Gennaio 2017 15:27)
Vesper 8 anni fa (1 Gennaio 2017 15:30)
Giusy 8 anni fa (1 Gennaio 2017 16:26)
Penelope 8 anni fa (1 Gennaio 2017 17:17)
Fiorediloto2 8 anni fa (1 Gennaio 2017 17:21)
Ilaria, posso dirti solo GRAZIE per questo articolo (e non solo....). È davvero illuminante.....Manuela 8 anni fa (1 Gennaio 2017 13:58)
Buon Anno Ilaria! Vorrei sapere se forse possibile comicare con lei non pubblicamente . La ringrazio.ManuelaIlaria Cardani 8 anni fa (1 Gennaio 2017 18:26)
Grazie buon anno. Sono raggiungibile alla mail ilaria(at)lapersonagiusta.com dove al posto dell'(at) va messa la @Alisia 8 anni fa (1 Gennaio 2017 15:40)
Ilaria Cardani 8 anni fa (1 Gennaio 2017 18:28)
Grazie davvero ricambio ed estendo gli auguri a tutte.francesca 8 anni fa (1 Gennaio 2017 14:54)
Ilaria Cardani 8 anni fa (1 Gennaio 2017 18:44)
Grazie, bellissimo commento, auguri.Maria Grazia 8 anni fa (1 Gennaio 2017 14:42)
Ilaria Cardani 8 anni fa (1 Gennaio 2017 18:47)
Maria 8 anni fa (1 Gennaio 2017 19:50)
Katia 8 anni fa (1 Gennaio 2017 20:02)
Antonella 8 anni fa (1 Gennaio 2017 20:30)
Grazie! E' un articolo bellissimo!!!Rossi Pina 8 anni fa (1 Gennaio 2017 23:10)
Enry 8 anni fa (1 Gennaio 2017 23:48)
Al 8 anni fa (1 Gennaio 2017 23:35)
Ilaria Cardani 8 anni fa (2 Gennaio 2017 9:46)
Grazie ricambio.Daya 8 anni fa (1 Gennaio 2017 19:01)
Ilaria Cardani 8 anni fa (2 Gennaio 2017 9:52)