Qualche giorno fa, attraverso la pagina Facebook de La Persona Giusta per Te una lettriche mi ha chiesto,: “Che cosa ne fai delle foto di una storia finita?”. Il messaggio era semplicemente questo, né più, né meno: non c’era nessun preambolo, nessun racconto complicato e lunghissimo di una storia d’amore più o meno sofferta, più o meno consueta. Solo questa domanda.
"Ricordare l’amore è come evocare un profumo di rose in una cantina."
Che, in realtà, è una domanda birichina, con molti sottintesi. Non so se la lettrice avesse un intento provocatorio, cioè volesse sollevare una questione spinosa – in modo leggero, ovviamente, e delicato – oppure no. Di certo sono convinta che una domanda del genere contenga in sé molti più significati di quanto sembri a una prima lettura.
Fino a qualche tempo fa le fotografie, soprattutto quelle di “coppia”, erano tutte stampate (non esisteva il digitale, la foto era un oggetto) e farle e conservarle signifcava decidere di dover fare un bello spazio nei propri cassetti. Non solo: se si era in coppia era ben difficile che le fotografie si duplicassero. Uno dei due partner ne conservava l’unica copia e già il fatto di essere in possesso della fotografia aveva una serie di significati reconditi: “Sono io il custode o la custode della memoria del nostro amore, sono io quello/quella tra noi due che dà maggiore valore ai nostri momenti insieme, sono io che tengo in conto il significato emotivo profondo del nostro amore. Se dipendesse da te…”
Oggi come oggi, invece, per conservare le fotografie, non è affatto necessario fare spazio nei cassetti o in casa, semmai è solo necessario fare spazio su Facebook, da 10 anni a questa parte il vero depositario dei ricordi dell’umanità civilizzata) o, tutt’al più, nella memoria del PC, dell’ I-phone, etc etc. e sappiamo bene che la memoria di questi strumenti è gigantesca. Probabilmente superiore alla nostra, di certo più obiettiva.
Il fatto è che le immagini del passato e degli amori passati, come in un computer, occupano molto spazio, di concentrazione ed emotivo, anche nella nostra mente e nel nostro cuore.
Una storia finita e il valore dei simboli
Non solo, le fotografie vengono mandate per email, postate su twitterfbpinterest, sulla mia bacheca, sulla tua bacheca, sulla nostra bacheca, sulla loro bacheca, inviate allo zio d’America – che nessuno ha mai visto né conosciuto, ma che da quando c’è Fb – alla collega dell’ufficio accanto e all’impiegato di banca che ci fa da consulente…
"Chiunque abbia mai amato porta una cicatrice.
Alfred de Musset"
Insomma, le fotografie della vita quotidiana diventano la prova provata della “grandiosità”, del valore, dell’autenticità delle esperienze che si vivono. Ci sono persone che al ristorante non chiacchierano con gli amici godendo della loro compagnia, ma si fotografano con gli amici, godendo del fatto di poter “postare” la foto su Fb; ci sono persone che non assaporano con gusto le pietanze che vengono servite, ma fotografano i piatti sul tavolo, assaporando solo il piacere illusorio dell’istante brevissimo in cui i loro amici su Fb potranno commentarle (e magari invidiarle). Le persone non guardano i monumenti, li fotografano senza guardarli. Non entrano in un negozio a toccare la stoffa degli abiti che amano, fotografano la vetrina. “Aspettaaspettaaspetta… facciamo la foto…” Tutto deve essere immortalato. Se non è fotografato, non è accaduto. Se non l’ho fotografato e non lo posso far vedere su Facebook, è un’esperienza che non ho vissuto.
Ho pagato per niente, prenotato per niente, mi sono messo in tiro per niente e fatto il viaggio per niente. Se non lo pubblico abbracciato a me sulla spaiggia, mi sono trovata il fidanzato per niente…
"È meglio aver amato e perduto che non aver mai amato.
Samuel Butler"
Pochi mesi fa su internet girava un video diventato virale nel quale si seguiva una coppia di giovani fidanzati in una bella camminata vacanziera. I due, nella loro gita, non fanno che discutere aspramente, usando parole velenose uno nei confronti dell’altra, stanno vivendo un pessimo momento, non sono per nulla presi e coinvolti dal panorama che li circonda.
Ma, a tratti, come se si muovessero secondo un copione prestabilito, per un attimo ritrovano l’accordo, si abbracciano, si mettono in posa e sorridenti si fanno una foto, un selfie “da postare su Facebook”
La riappicificazione dura qualche secondo, giusto il tempo di scattare e poi i due – dopo aver postato la foto – rientrano perfettamente nella parte – quella vera – dei superarrabbiati e continuano la loro brutta discussione.
Ma hanno postato su Fb (o Instagram? questo è anche oggetto della loro discussione) una foto in cui sono sorridenti e nella quale mostrano al mondo, che sì, loro sono felici e possono starsene in vacanza sereni e sorridenti.
Ora e qui non intendo entrare nel merito dell’atteggiamento mentale di chi pubblica la propria vita su Facebook in ogni momento per dimostrare al mondo (cioè a quelle tre/quattro persone che sono connesse in quell’istante e per le quali “passa” l’aggiornamento delle foto) che sono felici, soddisfatti e appagati. Io penso che chi ha il bisogno compulsivo di “testimoniare” agli altri quanto si diverte, soffre di un’insicurezza terrificante, per la quale necessita assolutamente dell’approvazione altrui e di un riscontro esterno alle proprie emozioni (che siano positive o negative). Non solo: non è in grado di valutare e di fare bastare a se stesso o a se stessa il proprio senso di appagamento e di soddisfazione per quello che prova. In altre parole non è in grado di godere e di apprezzare quello che ha per quello che è realmente e per il significato che ha “nudo e crudo”, ma solo perché gli altri lo possono apprezzare e valutare.
Un’esperienza non è bella ed emozionate in quanto tale, ma solo perché gli altri possono, dall’esterno e senza viverla in prima persona, valutarla come bella ed emozionante. Invidiabile. Secondo dei canoni stabiliti a priori, da un pensiero di “massa”. Se sei in vacanza, su una spiaggia, sorridente con un uomo o una donna al fianco, devi per forza essere felice. Non è possibile diversamente.
Mah…
Credere di stare bene non è stare bene per davvero
Che cosa c’entra tutto questo discorso con la domanda: “che cosa si fa delle foto di una soria finita?” In realtà le fotografie contano per il valore simbolico che viene loro attribuito. Se a quelle foto e a quei momenti viene attribuito un “valore” superiore a quello che di norma viene attribuito a un’esperienza diversa, cioè non di coppia, è ovvio che il distacco da quelle foto può essere molto doloroso. Perché c’è il desiderio di non volere allontanarsi da certi momenti e ricordi e soprattutto “simboli” di quella che si crede una maginfica età dell’oro, fantastica e irripetibile.
"Di tutti gli oggetti d’odio, una donna un tempo amata è il più odioso. Max Beerbohm"
“Guarda un po’, che cosa facevo con lui… Qualcosa che adesso non posso più fare, mostrare, pensare, nemmeno sognare…”
(Te l’avevo detto che la domanda “che cosa si fa delle foto di una storia finita?” era una domanda birichina che nascondeva alcuni simpatici inganni, mica era una domanda semplice semplice alla quale rispondere…)
Quando la lettrice mi ha posto la domanda, io le ho risposto con una frase che apriva a molte opzioni e a diverse ipotesi. Le ho scritto: “Dipende da che effetto ti fanno”, perché quello che mi interessava era offrire anch’io, una provocazione, uno spunto sul quale riflettere.
Ora, facciamo delle considerazioni pratiche. Penso che da che mondo è mondo non ci sia nessuno che possa suggerire: “Le foto di una storia finita? Conservale bene in vista, riguardale una volta alla settimana, richiama alla memoria i ricordi che quelle foto ti evocano.”
In effetti rimanere legati al passato, alle storie passate, è un freno potentissimo e molto pericoloso alla realizzazione della propria felicità e del proprio potenziale.
Anche se si tratta di bei ricordi, tutto quello che ci tiene legati al nostro passato funziona come una zavorra che appesantisce, che impedisce di camminare spediti verso il futuro.
In realtà, a qualunque punto siamo della nostra esistenza, tutte le possibilità che abbiamo sono nel nostro presente e nel nostro futuro. Sono nel vivere il momento, sono nella progettazione di quel che vogliamo realizzare e diventare nel prossimo futuro.
Conservare le foto – e altri ricordi – del passato e, in particolare, di una storia finita significa attribuire alla storia finita un’importanza che non ha. Significa partire dalla presupposizione che quel che credevamo ci fosse in quella storia finita non vi sarà mai più in una storia futura, nella nostra vita.
"E tu tu guardi ma non vedi, che è finita e fra le dita non ci sono che fotografie. Claudio Baglioni"
Quello che serve, invece, per costruirsi una vita bella, ricca, appagante e un rapporto di coppia soddisfacente è la fiducia nel futuro e nelle nostre personali risorse, quello che abbiamo ora e quelle che avremo nel futuro. E’ la fiducia che oggi e domani siamo in grado di creare per noi e di vivere per davvero le esperienze più appaganti e più gratificanti.
Non possiamo smettere di crescere e dunque di avere fiducia nel nostro potenziale: nel momento in cui si smette di crescere, si entra in depressione, si entra in una fase calante della vita, nella quale peraltro si fa più forte quel senso di vuoto di cui altre volte abbiamo parlato e di cui molte donne che amano troppo sono prigioniere.
Storie finite e ricordi che impediscono di vivere
Quel senso di vuoto che impedisce, tra l’altro, di trovare l’uomo giusto, di iniziare e di vivere altre storie d’amore appaganti e soddisfacenti, di procedere nella propria esistenza.
Con le storie finite, comunque esse siano andate e comunque esse siano finite è necessario chiudere, definitivamente, se si vuole raggiungere la serenità. Se si vuole fare un salto in avanti, procedere, progredire, avere il meglio per sé.
Questa è la presa d’atto di un aspetto di realtà: non si inizia nulla che conduca in un presente appagante e in un futuro pieno di possiblità se non si chiudono le scatole e le si portano via, se non si chiudono i file, se si rimane metà di qua e metà di là. Non c’è alternativa, non c’è compromesso di sorta.
"Si può richiamare l’immagine di una rosa, ma non il suo profumo. Arthur Miller"
Ogni chiusura implica una rinascita, una nuova costruzione, la realizzazione di nuovi obiettivi. Non si può fare tutto ciò rimanendo legati al passato, ai suoi simboli, agli oggetti che lo rappresentano. E nemmeno alle fantasie, alle immagini mentali, ai ricordi.
Col passato si chiude, ma per un motivo ben preciso: perché finalmente si cerca , si trova e si realizza se stessi al proprio meglio.
Ana 11 anni fa (28 Aprile 2014 22:05)
Cleo 11 anni fa (28 Aprile 2014 22:52)
Solitaria 11 anni fa (28 Aprile 2014 23:05)
romi 11 anni fa (29 Aprile 2014 1:30)
Emanuela 11 anni fa (29 Aprile 2014 6:41)
Michela2 11 anni fa (29 Aprile 2014 9:30)
Cleo 11 anni fa (29 Aprile 2014 9:50)
Al 11 anni fa (29 Aprile 2014 10:34)
Anna 11 anni fa (29 Aprile 2014 11:30)
Ale 11 anni fa (29 Aprile 2014 14:20)
condivido ogni parola Dell articolo, nello specifico quando si parla della solitudine di chi posta frammenti di vita su fb per ricordarsi di esistere.gio_1098 11 anni fa (29 Aprile 2014 16:16)
bellissimo.Giada 11 anni fa (29 Aprile 2014 19:04)
eleonora 11 anni fa (29 Aprile 2014 21:41)
Goldie 11 anni fa (30 Aprile 2014 10:38)
Emanuela 11 anni fa (30 Aprile 2014 10:57)
saraZ 11 anni fa (30 Aprile 2014 12:22)
Michela2 11 anni fa (30 Aprile 2014 12:25)
Solitaria 11 anni fa (30 Aprile 2014 13:48)
Io non cancello niente, almeno i primi tempi, ma evito di torturarmi mettendomi a guardare foto o a rileggere vecchie conversazioni.Anna 11 anni fa (30 Aprile 2014 14:02)
Goldie 11 anni fa (30 Aprile 2014 15:09)